Che cos’è l’autismo ad alto funzionamento?

L’autismo ad alto funzionamento è una delle forme che può assumere il disturbo dello spettro autistico. Solitamente le persone autistiche ad alto funzionamento hanno un quoziente intellettivo nella norma oppure un funzionamento cognitivo al limite, che consente loro di svolgere in autonomia buona parte delle attività della vita quotidiana. Generalmente il linguaggio verbale è presente, così come le competenze scolastiche di base, quali per esempio la letto-scrittura. Permangono tuttavia delle aree di fragilità, che peraltro sono quelle che risultano deficitarie in maniera trasversale nelle varie forme dei disturbi dello spettro autistico e sono dunque la dimensione dell’interazione sociale, che comporta la capacità di leggere e interpretare i segnali sociali e quella comunicativa, nel senso più ampio assunto dal termine. Solitamente le persone autistiche ad alto funzionamento non hanno difficoltà ad inserirsi nei vari contesti sociali extrafamigliari, per esempio la scuola o il lavoro, ma possono emergere degli elementi di vulnerabilità nel modo in cui l’individuo si muove entro tali ambiti. Può accadere dunque che un bimbo autistico ad alto funzionamento, pur avendo una buona dotazione cognitiva, a scuola fatichi a concentrarsi oppure che un adulto, che funziona molto bene nel contesto lavorativo sul piano prestazione, abbia difficoltà nel relazionarsi con i colleghi.

Qual è la differenza tra la sindrome di Asperger e l’autismo ad alto funzionamento?

Nel 2013, l’ultima edizione del Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders, il DSM 5, ha eliminato la classificazione diagnostica della Sindrome di Asperger, che non esiste più, in quanto entità nosografica a sé stante, ma è stata inclusa all’interno della categoria più ampia dei Disturbi dello spettro autistico. In realtà, nella comunità scientifica e tra i professionisti del settore il dibattito rimane aperto, poiché molti ritengono che la sindrome di Asperger abbia delle specificità proprie, non comuni a nessuna condizione clinica rientrante nel quadro dell’autismo. Questa concezione trova altresì riscontro in alcuni studi condotti recentemente e che hanno individuato la presenza di differenze significative tra persone che hanno ricevuto una diagnosi di Sindrome di Asperger, secondo i criteri del DSM-IV-TR e altri con Diagnosi di autismo ad alto funzionamento. Le persone appartenenti a questi due gruppi differiscono in particolare per caratteristiche afferenti alle aree della comunicazione, del funzionamento intellettivo, del rendimento scolastico e della comorbidità con altri quadri psicopatologici.  Per esempio, per quanto riguarda il QI, quest’ultimo è risultato mediamente superiore nelle persone con Sindrome di Asperger che negli autistici ad alto funzionamento, che paiono invece manifestare con una maggiore frequenza la presenza di Disturbi Specifici dell’Apprendimento. Infine, i soggetti con Sindrome di Asperger mostrano una frequenza maggiore di problematiche quali ansia e depressione rispetto agli individui con diagnosi di autismo ad alto funzionamento. 

Autismo ad alto funzionamento: dall’infanzia all’età adulta 

Sebbene l’autismo sia un disturbo la cui diagnosi viene effettuata in maniera abbastanza precoce, dopo i 3 anni di vita del bambino, accade molto di frequente che l’autismo ad alto funzionamento riceva una diagnosi tardiva, quando la persona è nell’età adolescenziale o addirittura in età adulta. Questo succede perché i bambini autistici ad alto funzionamento solitamente acquisiscono un linguaggio fluido e articolato, benché carente sul piano pragmatico e presentano un livello cognitivo nella norma e questi aspetti possono essere alla base di una mancata segnalazione o un ritardo nell’accesso ad un approfondimento valutativo. Può capitare dunque che le difficoltà comunicative e relazionali facciano sentire il loro impatto in un secondo momento, quando le richieste, per esempio nel contesto delle relazioni tra i pari, diventano maggiormente impegnative, cosa che accade più frequentemente nella fase dell’adolescenza o dell’età giovane adulta. Talvolta la diagnosi può arrivare prima, negli anni dell’infanzia e può essere formulata nel contesto di una richiesta di valutazione e intervento, che può sopraggiungere in concomitanza alla rilevazione di un ritardo nell’acquisizione del linguaggio verbale oppure con l’ingresso alla scuola primaria e con l’emergere di una fatica a carico degli apprendimenti scolastici. 

Negli adulti autistici ad alto funzionamento gli aspetti contrassegnati da una maggiore difficoltà sono quelli concernenti le interazioni e gli scambi sociali, poiché la persona può manifestare una scarsa competenza per ciò che attiene i processi inferenziali, nella selezione delle informazioni, nella memorizzazione e nel cogliere l’ironia. Inoltre, capita di frequente che l’adulto autistico ad alto funzionamento abbia poca dimestichezza nel dare un nome ai propri vissuti e alle emozioni che sperimenta e a ciò si aggiunge una limitata consapevolezza rispetto a questa componente del proprio funzionamento. Accade che talora le emozioni vengano espresse con modalità poco convenzionali dal punto di vista sociale, in una maniera eccessivamente diretta o esplicita e in alcune situazioni può emergere una scarsa capacità di autoregolazione emotiva. Accanto a questi elementi di fragilità, ce ne sono però tanti altri che costituiscono una risorsa preziosa e una potenzialità. Ad esempio, molti adulti autistici ad alto funzionamento sono abilissimi in mansioni lavorative che richiedono spiccate capacità organizzative (per esempio, archiviare, catalogare, controllare la qualità di determinati prodotti). 

Come riconoscere l’autismo ad alto funzionamento

Le persone autistiche ad alto funzionamento, proprio per le caratteristiche elencate sopra, possono avere difficoltà nel creare legami di amicizia e possono sentirsi a disagio nelle situazioni sociali, manifestando vissuti di ansia e stress. Inoltre, anche con il passare degli anni, può permanere una fatica a livello della comunicazione non verbale (es. il contatto visivo è scarso e poco continuativo) e spesso sono presenti interessi e abitudini rigide e ripetitive, oltre che una forte propensione ad aderire a routine e ad evitare contesti, situazioni o attività nuove o poco prevedibili. Tuttavia, occorre tener presente che la poca dimestichezza con le interazioni sociali e la dimensione comunicativa non coincide in alcun modo con uno scarso interesse nei riguardi degli altri e delle relazioni. Anzi, il bisogno di contatto e di vicinanza, talora anche fisica, è presente e porta, specie in adolescenza, a mettere in campo tutte le risorse a disposizione della persona per attivarsi in un’apertura al mondo, anche quando le proprie condotte comportamentali possono apparentemente risultare bizzarre o poco funzionali da un punto di vista sociale. 

 

Dott.sa Erika Marchetti

Psicologa Psicoterapeuta