Il ritiro sociale in adolescenza è un fenomeno che si sta diffondendo negli ultimi decenni anche nel contesto italiano e riguarda prevalentemente i maschi, sebbene più di recente sia una realtà in aumento anche tra le ragazze. Tendenzialmente l’evitamento dei contesti sociali e il successivo abbandono scolastico ha luogo nei primi anni della scuola secondaria di secondo grado, ma può emergere anche prima e in alcuni casi si assiste al dipanarsi di una storia scolastica contrassegnata da un’altalenanza della frequenza, a fronte di un profitto generalmente adeguato o superiore alla media dei coetanei. 

L’incontro con l’adolescente con ritiro sociale

Nella maggior parte dei casi la richiesta di intervento psicologico non è spontanea, ovvero non viene avanzata direttamente dal ragazzo, bensì dai famigliari, preoccupati per lo stato emotivo del proprio figlio. Questo è uno dei motivi per cui le prime fasi della presa in carico risultano essere particolarmente delicate, poiché è necessario avvicinarsi con il massimo rispetto e “in punta di piedi” ad un giovane che, nella maggior parte delle situazioni, non sente dentro di sé il desiderio di mobilitare una contingenza che, per quanto possa essere fonte di disagio e sofferenza, sovente viene vissuta come uno spazio sicuro, una zona di confort, dove “è vero che non succede niente di bello, ma non può succedere nulla di brutto e questa è la cosa più importante”. 

In questi anni di lavoro con i ragazzi con ritiro sociale ho incontrato storie di vita uniche e singolari, tante quanti sono stati gli adolescenti con cui ho lavorato. Sarebbe difficilissimo trovare un denominatore comune, poiché in alcuni casi il ritiro sociale è soltanto l’effetto e la conseguenza di un disagio profondo, che talora ha a che fare con specifici funzionamenti di personalità, a volte con diagnosi di neurodivergenza, come nel caso dell’autismo ad alto funzionamento, altri frangenti invece si rivela come l’aspetto predominante della condizione di sofferenza del ragazzo e si accompagna a vissuti emotivi di mancanza, vuoto, una noia legata al vivere e la sensazione di andare alla deriva, trascinati dagli eventi. Provo a descrivere questo stato esistenziale con le parole di Francesco, un diciassettenne, che, dopo sei mesi di terapia, parlava di sé in questi termini: “Non sto male, non c’è niente di terribile, non mi viene più da piangere e non sono nemmeno abbattuto, sono stufo, un po’ annoiato, a volte ho una sensazione di stanchezza e frustrazione, spesso per cose banali, insignificanti”.

Il ritiro sociale può diventare un modo per esprimere una sofferenza legata ad un’immagine di sé, vissuta dall’adolescente in maniera negativa e contrassegnata da una percezione di non essere mai abbastanza e di non essere all’altezza di far fronte alle situazioni che la vita ci pone dinnanzi. 

Alcuni ragazzi investono l’ambiente circostante di questi loro vissuti e finiscono con il formulare giudizi critici e fortemente negativi nei riguardi delle le persone attorno a sé, con le quali non vogliono avere rapporti ed interazioni, assumendo, peraltro, di fronte agli adulti di riferimento, l’atteggiamento di chi ha non bisogno di nessuno e ce la può fare da solo. Nella realtà quello che emerge, spesso dopo molti mesi di terapia, è un timore profondo del giudizio negativo dell’altro e un bisogno autentico di essere accolti e accettati per quello che si è, che i ragazzi faticano a riconoscere in primis dinnanzi a sé stessi. 

In molti casi esiste una sovrapposizione tra ritiro sociale e dipendenza da internet o da videogiochi. Nella mia esperienza è estremamente utile capire in che modo l’adolescente si rapporta ai dispositivi tecnologici, quali giochi fa, in quali tempi e modalità, poiché questo aspetto parla del funzionamento di quel ragazzo molto più di quanto possano farlo le parole. Per esempio, il ragazzo gioca da solo oppure online, insieme ad altri coetanei? Che tipo di mondo virtuale ha creato? Con quali personaggi si identifica? Che caratteristiche hanno i suoi giochi preferiti?

La presa in carico dell’adolescente con ritiro sociale

Stante la complessità del quadro sopra riportato, anche la presa in carico psicologica assume una molteplicità di sfaccettature e penso che la parola chiave in questo tipo di interventi sia la creatività, del setting, degli strumenti utilizzati e delle proposte operative. La paura di sbagliare, i vissuti di inadeguatezza, il desiderio di avvicinarsi all’altro, accompagnati dal timore profondo del rifiuto e del giudizio, sono tutte dimensioni che emergono dinnanzi all’intravedere una possibilità di andare oltre e con cui è necessario lavorare nelle prime fasi della terapia. Una volta che il ragazzo ha, gradualmente, riconquistato una maggiore fiducia in sé stesso, nelle proprie risorse e potenzialità ed è emerso il desiderio, per quanto fragile e ambivalente, di riprendere in mano la propria vita e riaprirsi all’altro, è fondamentale che il terapeuta operi al fine di creare una rete attorno all’adolescente, sempre nel rispetto dei tempi e della volontà del ragazzo. E’ dunque possibile valutare eventualmente le modalità maggiormente idonee per la ripresa degli studi, tenendo conto del fatto che è possibile che il ragazzo non sia per lungo tempo nelle condizioni di fare il suo reingresso a scuola. 

 

Dott.sa Erika Marchetti

Psicologa Psicoterapeuta