Eugenio è un ragazzo di 13 anni, che frequenta la terza media. Nel primo colloquio con i genitori, questi ultimi mi descrivono il figlio come un ragazzino studioso, molto bravo a scuola, appassionato di storia, tanto da conoscere date e luoghi di eventi storici tutt’altro che noti. Eugenio a scuola ha sempre fatto tutto da solo, “non c’è stato mai bisogno di ricordargli di fare i compiti o studiare per un’interrogazione, si è sempre organizzato in autonomia, senza chiedere aiuto a nessuno”. Mentre da un punto di vista didattico tutto ha funzionato nel migliore dei modi, i professori sono preoccupati per l’inserimento di Eugenio nel contesto delle relazioni con i coetanei, con i quali il ragazzo non sembra intrattenere alcun rapporto significativo. Eugenio non li cerca, trascorre l’intervallo seduto al suo posto, disegnando o leggendo e anche quando qualche compagno prova a coinvolgerlo in un gioco o in una conversazione, Eugenio non sembra interessato e lascia cadere i vari tentativi. Questo è il motivo principale per il quale i genitori hanno richiesto il mio intervento. Inoltre, i genitori osservano come da sempre Eugenio sia stato un ragazzino a cui non piacevano le novità e gli imprevisti; quando era più piccolo, i cambiamenti lo mettevano in forte difficoltà, spesso piangeva e si arrabbiava. Ora questi aspetti comportamentali sono scomparsi, ma rimane il bisogno di prevedibilità e l’esigenza che tutto funzioni come pianificato. Se questo non succede, Eugenio si sente ansioso e propenso ad evitare quelle situazioni che lo metterebbero in una situazione di forte disagio.

Incontro Eugenio quattro volte, è un ragazzino intelligente, loquace, sembra avere piacere nel raccontarsi ed è disponibile a coinvolgersi nelle attività che gli propongo. Fin da subito mi dice che gli insegnanti e i genitori sono preoccupati perché ha pochi amici, non frequenta l’oratorio e non ama stare con i coetanei. Riconosce che quanto riportato dagli adulti di riferimento è rispondente alla realtà, ma mi fa subito presente che per lui non è un problema, stare da solo gli piace, può dedicarsi alla lettura dei libri di storia che tanto ama o vedere dei documentari e poi “i miei compagni di classe sono strani, non li capisco bene, sono rumorosi e mi confondono”.

Prima di iniziare a lavorare con Eugenio e la sua famiglia decido di inviare il ragazzo ad un neuropsichiatra infantile, per effettuare un percorso diagnostico e valutativo, che possa aiutarci a comprendere meglio alcune dimensioni emotive e comportamentali di Eugenio. Dopo un paio di mesi arriva la diagnosi: autismo ad alto funzionamento. La comunicazione ai genitori della diagnosi viene fatta congiuntamente da me e dal neuropsichiatra e viene accolta dai famigliari con grandissima sorpresa e con una iniziale fatica, per poi divenire una risposta a domande e interrogativi da sempre aperti, ma rimasti a lungo senza alcun riscontro concreto: quelle che inizialmente venivano percepite come delle rigidità e prese di posizione acritiche da parte di Eugenio, vengono lette, ad oggi, come una componente della neurodivergenza e assumono dunque un significato e una valenza nettamente differenti.

Un primo passaggio che ritengo fondamentale, assieme al percorso di psicoterapia rivolto ad Eugenio, è la proposta ai genitori di effettuare un ciclo di incontri di parent training, che possa supportarli nella comprensione delle caratteristiche e peculiarità dell’autismo ad alto funzionamento e al contempo possa essere loro di aiuto nell’individuare strategie e modalità di approccio al figlio, in linea con le sue potenzialità, risorse e fragilità.

Il mio lavoro con Eugenio prosegue per tutto l’anno successivo. Nel frattempo il ragazzo ha iniziato il primo anno delle scuole superiori, frequenta il liceo classico, il rendimento è ottimo ma in accordo con gli insegnanti e il neuropsichiatra di riferimento si decide comunque di stilare un PDP e di richiedere l’intervento di un educatore scolastico, con il compito di facilitare l’interazione tra Eugenio e il gruppo classe. Mi piace sempre sottolineare come tutti questi passaggi sono stati proposti, valutati e accolti positivamente da Eugenio, che sin da subito ha accolto le risorse individuate come un aiuto per stare meglio in un contesto complicato come quello scolastico.

A conclusione del primo anno di scuola, Eugenio in seduta mi dice che teme di annoiarsi nei mesi estivi, vorrebbe partecipare a qualche iniziativa ricreativa con i coetanei, ma teme di non essere ancora pronto e questo aspetto lo agita e lo manda in frustrazione. Dopo una lunga riflessione, in accordo con i genitori decido di non lasciare cadere questa iniziativa, seppur timida e titubante di Eugenio. Pendiamo contatti con una nota associazione del territorio, che offre servizi e proposte educative e ricreative rivolte a persone autistiche e veniamo a conoscenza della possibilità di partecipare a dei campus estivi, della durata settimanale o quindicinale, pensati per bambini e ragazzi e suddivisi per fasce d’età. Nel parlo con Eugenio e gli propongo un campus per ragazzi tra i 14 e i 16 anni, che si terrà nel mese di luglio. Eugenio è inizialmente perplesso ma mi promette che ci penserà. Dopo qualche settimana mi comunica la sua decisione di voler prendere parte al campus, ma prima di prendere un decisione definitiva desidera conoscere gli educatori che lo affiancheranno e vedere gli spazi dove si terrà il campus. La sua richiesta viene accolta ed Eugenio partecipa per tutta la durata dell’iniziativa e con una certa soddisfazione alle attività proposte ed esprime il desiderio di ripetere l’esperienza l’anno successivo.

La storia di Eugenio è solo un esempio di come si possa strutturare un intervento con un adolescente autistico ad alto funzionamento. Naturalmente ogni piano trattamentale deve essere pensato per ogni singola persona, tenendo conto delle risorse, dei punti di forza e delle fragilità di ciascuno. In linea generale, tuttavia, gli interventi per persone autistiche dovrebbero prevedere la partecipazione di un’equipe multidisciplinare e ciascuna proposta dovrebbe essere valutata a partire dalle esigenze sia del ragazzo che del nucleo famigliare all’interno del quale è inserito. Senz’altro interventi utili possono essere percorsi di parent training, la psicoterapia per l’adolescente, il supporto agli insegnanti nella stesura di un PDP o un PEI, la terapia farmacologica, i training in piccolo gruppo centrati sul supporto alle competenze socio-affettive.

Dott.sa Erika Marchetti

Psicologa Psicoterapeuta