Fare i conti con il concetto della morte è qualcosa di estremamente denso, delicato, con moltissime sfaccettature, alcune certamente comuni a tutto il genere umano, altre invece molto personali, che hanno a che fare con l’esperienza che ciascuno di noi ha fatto della perdita, del lutto, della morte dei propri cari. Tuttavia, come ben ci illustrano gli psicoterapeuti che come Irvin Yalom si sono dedicati ampiamente a questo tema nei loro studi, la vita e la morte sono strettamente interdipendenti tra loro, coesistono in maniera simultanea e la morte esercita un’influenza significativa sull’esperienza e sul comportamento delle persone. La morte non è dunque una punizione, un’ingiustizia, non è qualcosa da negare o da esorcizzare con tutti i mezzi possibili, è un dato di fatto, qualcosa di intrinseco all’essere vivi e di cui occorre prendere atto. 

Spesso noi adulti ci trinceriamo dietro al fatto che ai bambini non si debba parlare della morte, partendo dal presupposto che non capirebbero o che ne rimarrebbero inevitabilmente sconvolti, perché siamo noi in primis che non siamo in grado di dare un significato al morire, siamo noi che ne siamo terrorizzati e angosciati e questo ci impedisce di affrontare questo tema con i nostri figli. In tutto questo tralasciamo però che i bimbi, anche quelli più piccoli, hanno a che fare con la morte e con la perdita molto più spesso di quello che crediamo e sin dalla più tenera età sviluppano una loro concezione di che cosa voglia dire “essere morto”, una concezione che, se non viene condivisa, elaborata e discussa con un adulto può essere anche molto distante dalla realtà e talvolta può assumere contorni confusi, ambivalenti e decisamente spaventosi.

La morte è una dimensione con cui i bambini entrano in contatto in maniera pressoché quotidiana, quando vedono le foglie secche cadere da un albero, quando calpestano una formichina, quando per strada vedono un uccellino senza vita, quando viene a mancare il loro cagnolino o il gattino di famiglia, quando i nonni muoiono, quando vedono i loro genitori piangere o stare male per un famigliare, per un amico che non c’è più, quando ci si reca al cimitero per fare visita ai propri cari. Quello che accade, non sempre, ma spesso, è che davanti a questi eventi i più piccoli tacciono. Tacciono non perché non siano interessati a capire cosa stia accadendo, non perché non abbiano domande o dubbi, ma forse perché avvertono il nostro sgomento, il nostro dolore e perché no, il nostro imbarazzo di fronte al morire, quasi come se si trattasse di un argomento tabù, di cui è meglio non parlare o per il quale non si riescono mai a trovare le parole giuste. 

Forse è accaduto anche a qualcuno di noi che di fronte ad un bambino che ci chiede “cosa succede quando uno muore?”, “perché il nonno è morto?”, “tu quando morirai?”, la nostra reazione è di perplessità, di disorientamento e dunque la tentazione è quella di fornire rassicurazioni, di prendere le distanze, di evitare in qualche modo di entrare in quello che sentiamo come un terreno minato. Il messaggio che passa al bambino però è diverso, spesso sentendo la nostra paura o il nostro dolore, impara che non è il caso di parlare di “queste cose”, ma ciò non significa che non ci pensi, continuerà a pensarci e arriverà a trarre le sue conclusioni. 

Certamente il discorso si fa più complesso in adolescenza, quando la questione della morte viene affrontata in maniera diretta, talora con paura, a volte con angoscia, in altri casi proponendola come possibile soluzione alle difficoltà della vita. Accade spesso di vedere i ragazzi sfidare apertamente la morte, a volte con comportamenti decisamente pericolosi e trasgressivi, in altri casi, con le modalità meno dirette e filtrate dalla realtà virtuale, per esempio nel mondo ormai noto del gaming. Nei videogiochi che troviamo nelle console e negli smartphone dei nostri adolescenti (da Fortnite a Brawl Stars a GTA) il confronto con la violenza e la morte è quotidiano, così come il fatto di riderci sopra oppure ridipingerla in forme immaginarie come accade nei film horror. 

Cosa possiamo fare allora noi adulti?

L’unica strada possibile è quelli di affrontare il tema della morte con i nostri bambini e ragazzi, nella maniera più onesta e trasparente possibile, anche confrontandoci con loro sul fatto che, in merito ad alcuni aspetti, nemmeno noi abbiamo una risposta. Quando parliamo con loro, sarebbe meglio evitare discorsi troppo lunghi, spiegazioni astratte e sofisticate; occorre essere concreti e utilizzare termini appropriati per ciò che andiamo a spiegare, senza rischiare di incorrere in fraintendimenti, che possono risultare con il tempo controproducenti (ad esempio, il nonno dorme, il cagnolino se ne è andato), poiché propongono una lettura non in linea con la realtà dell’irreversibilità della morte. E’ infine importante dare a loro il tempo di cui hanno bisogno per elaborare quanto sta accadendo, mostrandosi accoglienti e rassicuranti, ma senza negare o cercare di mettere a tacere le emozioni di dolore, paura, rabbia e tristezza, che inevitabilmente si provano dinnanzi alla perdita e al lutto.  

 

Dott.sa Erika Marchetti

Psicologa Psicoterapeuta