L’adolescenza e la devianza nel mondo dei mass media: è davvero tutto come sembra?

La delinquenza minorile nel post pandemia

Quante volte ci accade di vedere un telegiornale, sfogliare le pagine di un quotidiano o scorrere le notizie del giorno online e trovare titoli del tipo “Allarme baby gang, sedicenne arrestato per rapina”? Oppure ancora “La baby gang che picchia e terrorizza gli studenti” e “Botte, minacce, sputi e furti: la baby gang che ha terrorizzato un intero quartiere a Roma”. Senz’altro è sotto gli occhi di tutti come nel periodo post pandemia si siano determinati veri e propri vuoti di controllo, la crisi economica, l’emergere più marcato delle disuguaglianze sociali, che hanno prodotto un incremento del disagio giovanile e di conseguenza della criminalità minorile. Negli ultimi due anni i nostri ragazzi hanno sofferto molto, in primis per una condizione di solitudine e di isolamento forzato, che ha ingenerato paura e vissuti di rabbia non sempre facilmente gestibili dai più giovani e che ha comportato l’insorgenza di tutta una serie di fragilità emotive e comportamentali, con le quali stiamo facendo i conti, pur senza esserne realmente preparati sia da un punto sociale e istituzionale che sul piano delle relazioni famigliari. 

Come viene rappresentata la devianza giovanile attraverso i mass media?

Le indagini e le ricerche scientifiche svolte in questo ambito hanno ampiamente evidenziato la propensione di giornali, televisione e internet a fornire una rappresentazione stigmatizzante degli autori di reati minorenni, specie quando i ragazzi sono protagonisti di vicende criminali come i furti, le rapine, lo spaccio, i reati sessuali e i crimini contro la persona. Già nel 2004, Ottolini, uno studioso, che aveva esaminato la rappresentazione mediatica delle rivolte dei giovani delle periferie di Parigi, aveva mostrato come porre un’enfasi eccessiva su alcuni fatti abbia come esito quello di creare degli “eroi negativi” e di fornire un contributo in grado di favorire nei ragazzi processi di acquisizione identitaria deviante. Nei resoconti mediatici stessi, infatti, le condotte devianti, seppur dipinte come riprovevoli e connesse ad elevati giudizi di pericolosità sociale, vengono non infrequentemente lette come uno dei pochi mezzi di cui i giovani immigrati dispongono per dare visibilità alle loro problematiche e alla loro condizione di svantaggio sociale, che impedisce una realizzazione personale ed è fonte di frustrazione delle aspirazioni individuali. Ecco dunque che tali elementi vengono letti come all’origine delle ribellioni estrinsecatesi in incendi e distruzioni, protrattisi per diverse settimane. 

Ma allora è davvero tutto come sembra?

Come illustrato sopra, la rappresentazione mediatica dell’infanzia e dell’adolescenza ha chiaramente messo a fuoco una tendenza alla drammatizzazione e alla presentazione di un’immagine severa e pessimistica degli adolescenti, che certamente non costituisce un supporto nella direzione di una maggiore comprensione delle esigenze e dei bisogni dei più giovani. Tale propensione trova conferma nell’elevata frequenza con cui i ragazzi vengono presentati in associazione a tematiche devianti in qualità a volte di vittime e a volte di autori di reati, inducendo il lettore/spettatore, la cui conoscenza della realtà dipende in parte dalla rappresentazione che i mass media forniscono della stessa, a percepire la devianza e l’aggressività come un elemento ampiamente presente nella vita degli adolescenti, incrementando indebitamente timori e preoccupazioni in un’opinione pubblica sempre più scossa dalle continue notizie relative a giovani “violati o violenti”. L’effetto prodotto da tali modalità di rappresentazione è quello di suscitare reazioni sdegnate e allarmistiche, che il più delle volte costituiscono un ostacolo ad un effettivo sforzo di comprensione delle tematiche affrontate e inducono un’acritica e passiva accettazione di letture e interpretazioni obsolete circa le motivazioni delle condotte illecite, ad esempio la crisi dei valori, l’effetto della violenza nei media, l’influsso negativo del gruppo dei pari e la noia. 

In conclusione, la rappresentazione mediatica dell’adolescenza è connotata da numerosi elementi di generalizzazione, confusione, sensazionalismo e spettacolarizzazione, oltre che dalla ricerca di rassicurazioni immediate rispetto a problemi troppo spesso presentati in modo riduttivo e semplicistico, che hanno l’effetto di alimentare preoccupazioni e allarmismi, talvolta eccessivi e ingiustificati, senza che ad essi si associ una reale attenzione per la condizione degli adolescenti ed un effettivo riconoscimento e accoglimento dei loro bisogni e delle loro fragilità.

Dott.sa Erika Marchetti

Psicologa Psicoterapeuta