Cos’è il ritiro sociale?

Il fenomeno del ritiro sociale si sta diffondendo in misura significativa, da qualche tempo, anche nel contesto italiano e fa riferimento alla realtà di quei ragazzi, adolescenti e giovani adulti, che progressivamente prendono le distanze dal contesto sociale di riferimento e dalle relazioni, sino ad adottare soluzioni drastiche, quali l’abbandono della scuola o dell’attività lavorativa e la sostanziale chiusura tra le mura domestiche. 

Naturalmente tale dinamica può assumere forme e livelli di gravità molto differenti tra loro, ma quasi sempre è possibile rilevare alcuni aspetti di similarità e un mondo affettivo connotato da vissuti emotivi quali la vergogna, la tristezza, un senso di impotenza e di scarsa efficacia personale e stati di confusione e disorientamento

Sebbene si tratti di una realtà delicata e che deve essere necessariamente attenzionata da parte degli adulti di riferimento, occorre evitare di incorrere in inutili allarmismi, che oltre a preoccupare i genitori, possono essere controproducenti nella dinamica relazionale con il figlio adolescente.

 Come hanno influito pandemia e lockdown?

In particolare, dopo l’esperienza della pandemia e del lockdown, accade molto di frequente che i ragazzi, al rientro da scuola, si chiudano nelle loro camere e si dedichino ad attività online, come i videogiochi oppure l’utilizzo dei social network. Benché tali abitudini necessitino di un monitoraggio e di una limitazione da parte dell’adulto, non sempre sono indicative di movimenti di ritiro relazionale, tutt’altro. Spesso per gli adolescenti infatti l’accesso al mondo virtuale non è un semplice passatempo, ma costituisce uno spazio di incontro e di relazione, diverso da quello face to face, un “luogo-non-luogo”, per riprendere un termine impiegato dallo psicoanalista Matteo Lancini, nel quale si costruiscono e vengono gestite tutta una serie di interazioni e comunicazioni tra i pari e nel quale si originano emozioni, esperienze relazionali e conflitti. 

La pandemia e le conseguenti restrizioni hanno avuto effetti spesso ambivalenti e contrastanti sul fenomeno del ritiro sociale. Certamente in una fase iniziale, dove ciascuno di noi ha vissuto in prima persona l’esperienza dell’isolamento sociale e di una sostanziale solitudine, almeno per quanto atteneva alle relazioni extrafamigliari, i ragazzi, che già manifestavano una qualche difficoltà nelle interazioni sociali, hanno avvertito una maggiore similarità tra le proprie abitudini e quelle del loro contesto sociale di appartenenza, tanto che in alcuni casi si è assistito, in maniera contraria alle aspettative, ad una loro maggiore partecipazione per esempio a spazi di interazione che si svolgevano da remoto o nei pochi contesti dove ancora era possibile mantenere un luogo di incontro. Nelle fasi successive, quelle della riapertura, si è evidenziata invece una fatica abbastanza generalizzata rispetto alla ripresa della vita sociale e ancora oggi molti adolescenti privilegiano spazi e modalità di contatto virtuale a quelli in presenza. 

Ritiro sociale: come si manifesta?

Il fenomeno del ritiro sociale prende sovente la forma di un disinvestimento significativo, che riguarda aree importanti della vita di un adolescente: la scuola, le relazioni con i pari, l’investimento nel proprio futuro. Rinchiudersi in casa dunque diviene una soluzione che da una parte evita di incorrere nelle dinamiche tipiche dei rapporti tra i ragazzi, dove spesso trovano spazio elementi quali il confronto e il giudizio, dall’altra è  l’unico modo che questi adolescenti concepiscono per non entrare in contatto con le proprie emozioni, con la vergogna, con i vissuti di imbarazzo e di ansia. In questo contesto non è infrequente che l’impiego dei videogiochi assuma la funzione di “anestetizzare” le emozioni dolorose e la sofferenza, ma al contempo fornisca la possibilità di sperimentarsi in un contatto relazionale vissuto come meno prorompente e dunque maggiormente tollerabile. 

Agli occhi degli adulti di riferimento, quello che spesso accade è di assistere all’abbandono, da parte del proprio figlio, della scuola o del lavoro e ad una sempre maggiore propensione a trascorrere le giornate nella propria camera, dove l’adolescente arriva a consumare i pasti, invertendo il ciclo sonno-veglia (il giovane dorme di giorno e rimane sveglio nel corso della notte) e impiegando Internet come unico canale di contatto con il mondo. Secondo quanto riportato dall’antropologa Carla Ricci nel 2009, la reclusione quotidiana, protratta per un lungo periodo, porterebbe i ragazzi, oltre che a invertire il ritmo sonno-veglia, a perdere la concezione del tempo ed entrambi questi aspetti avrebbero una funzione protettiva rispetto all’ansia e al senso di colpa, che inevitabilmente emerge al pensiero di quello che occorrerebbe fare nella quotidianità e che viene invece impedito dal ritiro. Per esempio, molti adolescenti tendono a svegliarsi nel primo pomeriggio, in concomitanza al rientro a casa dopo la scuola dei coetanei. 

Come aiutare un figlio adolescente?

Certamente stare a fianco di un adolescente con ritiro sociale, specie nelle forme più pervasive, è per i genitori e i famigliari un’esperienza dolorosa, che rimette in gioco le aspettative e produce inevitabilmente anche negli adulti stessi intensi vissuti di disorientamento e sofferenza. Sulla scia di queste emozioni dolorose, i genitori sono spesso portati ad arrovellarsi circa i motivi, che avrebbero portato il proprio figlio a stare così male, senza riuscire ad addivenire a risposte e soluzioni realmente soddisfacenti. Talvolta capita inoltre che anche gli insegnanti, gli educatori, gli allenatori, i famigliari, nel tentativo di dare un senso plausibile a quello che sta accadendo, finiscono per muoversi, talvolta inconsapevolmente, alla ricerca di una motivazione, che spesso suona agli occhi dei genitori e del ragazzo come una critica e che in ogni caso non fornisce un aiuto valido per mobilitare la situazione. Accade dunque che il ritiro venga letto come frutto dell’indolenza del giovane, della sua mancanza di volontà ad impegnarsi, di un’educazione poco funzionale, della difficoltà dei genitori a mettere dei paletti, per esempio rispetto all’uso dei videogiochi o di internet. 

Sicuramente il primo passo per i genitori dell’adolescente è quello di ricorrere ad un aiuto esterno, un supporto psicologico in primis per loro e finalizzato a porre le basi per un aggancio con il ragazzo. In questi frangenti anche il lavoro educativo è fondamentale e prevede interventi sia sul contesto ambientale che sui ragazzi singolarmente oppure, ove possibile, in piccolo gruppo, per esempio in sessioni laboratoriali. Nei casi più gravi, dove la sofferenza è pervasiva o cronica, è possibile optare per degli inserimenti all’interno di strutture riabilitative, che consentano di accompagnare l’adolescente in un contesto protetto, dove sono presenti figure sanitarie in grado di intervenire con un progetto riabilitativo individualizzato. 

 

Dott.sa Erika Marchetti

Psicologa Psicoterapeuta