Le statistiche sul fenomeno del suicidio

Le ricerche, svolte in Italia, relativamente al suicidio, rilevano come nell’arco di un anno nel nostro paese 4000 persone si tolgono volontariamente la vita e nel 37% dei casi hanno un’età compresa tra i 45 e i 64 anni. Nel 78.8 % dei casi, gli individui che commettono atti suicidari sono di sesso maschile, un numero significativo ha un basso livello di istruzione e vi è una percentuale maggiore di morti per suicidio nel Nord Italia rispetto alle regioni del Sud. Inoltre uno dei pregiudizi che i dati delle indagini sembrano sfatare è quello che ritiene che il suicidio sia un gesto estremo, esito di condizioni di natura patologica, a livello psichico in particolare. Le statistiche, prodotte dall’Istat a tale riguardo, mostrano come in una percentuale del 13% l’individuo soffre di una psicopatologia, mentre nel 6% dei casi la persona soffre di una condizione fisica di malattia. Per il resto, si tratta di individui che non hanno alcun tipo di diagnosi medica di rilievo. Infine il dato più sconcertante è che in Italia il suicidio è la prima causa di morte tra i ragazzi più giovani. 

Quali sono i fattori di rischio per il suicidio?

Gli studi condotti negli ultimi anni, rispetto al tema del suicidio, hanno dato una risposta affermativa a questa domanda, ma facciamo attenzione, poiché quando si parla di fattore di rischio non lo si deve intendere in maniera deterministica e non significa che una persona, che si trova in quella particolare condizione, abbia in qualche modo una predisposizione ad operare un tipo di scelta piuttosto che un’altra. Ciascun essere umano ha la sua specificità e unicità e la presenza di un’eventuale condizione di rischio deve essere valutata caso per caso, astenendosi da giudizi affrettati o convinzioni a priori. Fatta questa premessa, andiamo a vedere più nel dettaglio quali sono i possibili fattori a cui prestare attenzione, qualora dovessimo trovarci di fronte a situazioni tali da fare ipotizzare la presenza di un possibile rischio suicidario. Innanzitutto gli elementi che predispongono la persona ad una maggiore vulnerabilità rispetto al rischio suicidario possono riguardare molteplici livelli e dimensioni e una di queste è l’ambiente e il contesto sociale e relazionale entro cui l’individuo vive. Stando su questo piano, alcuni aspetti da attenzionare potrebbero essere dunque la difficoltà nell’accedere ai servizi sanitari e assistenziali, la facilità con cui le persone possono accedere ai mezzi, mediante i quali compiere degli agiti anticonservativi, lo stigma sociale e le discriminazioni, lo stress cronico, l’isolamento sociale e relazionale, le esperienze di abuso, violenza e conflittualità. A livello individuale, invece, dei potenziali fattori di rischio si possono configurare nella presenza di precedenti tentativi di suicidio, nei disturbi di tipo psicopatologico, nell’abuso di alcool, nelle difficoltà economiche, nel dolore cronico e nella presenza di episodi di suicidio nella propria storia famigliare. 

La prevenzione del suicidio

Nella prevenzione degli agiti suicidari, il ruolo dello psicologo assume un’importanza centrale. Innanzitutto, quando si svolge un colloquio clinico con un paziente, la disamina e l’approfondimento dei vissuti della persona costituiscono un punto di partenza per mettere in luce la presenza di stati d’animo di disperazione, di rabbia, di fallimento e di estrema impotenza. Qualora si rilevassero tali segnali d’allarme, sarebbe opportuno sottoporre la persona ad un’ulteriore screening, inerente nello specifico la vulnerabilità al rischio suicidario e qualora se ne ravvisasse la necessità, sarebbe altamente consigliabile inserire l’individuo in un programma di prevenzione. I programmi di prevenzione solitamente hanno una durata non inferiore ad un anno e prevedono il coinvolgimento del paziente in colloqui clinici di persona o da remoto e contatti telefonici di monitoraggio con il professionista, volti a intercettare sul nascere l’eventualità di un possibile passaggio all’atto. L’ottica preventiva si è rivelata quella maggiormente efficace ed in grado di scongiurare conseguenze negativa, rispetto agli interventi svolti sulla scia dell’emergenza, quando purtroppo sono già state poste in essere condotte anticonservative. 

Naturalmente in frangenti così delicati lo psicologo non può e non deve operare in autonomia, ma è tenuto ad attivare un lavoro di rete e multidisciplinare, che coinvolga le diverse figure presenti nel contesto di vita del paziente (ad esempio, lo psichiatra, il medico di base, il pediatra, i famigliari, gli insegnanti e gli educatori), andando ad integrare ulteriori interventi specialistici, ove se ne palesasse l’opportunità. 

In uno studio condotto dai ricercatori Stengel e Cook, gli autori hanno riportato come spesso gli interventi degli psichiatri non abbiano un’influenza sull’incidenza dei suicidi e questo perché, come evidenziato anche  dalle statistiche inerenti il nostro paese, nella maggior parte dei casi le persone che si suicidano non sono pazienti psichiatrici. L’intervento dello psichiatra si rivela importante per quella percentuale di individui a rischio suicidario e con problematiche di natura psichiatrica ma, così come evidenziato per lo psicologo, anche nel caso dello psichiatra non può e non deve essere l’unica figura chiamata in causa nella prevenzione e nel trattamento delle persone con una vulnerabilità al rischio suicidario. Maurizio Pompili, psichiatra del Servizio per la prevenzione del Suicidio, della SapienzaUniversità di Roma, osserva opportunamente, a tale proposito, come “la prevenzione del suicidio è possibile e riguarda tutti”.

Trattamento psicologico per il paziente che ha tentato il suicidio

Il trattamento per la persona che ha tentato il suicidio deve necessariamente coinvolgere non solo l’individuo in condizioni di fragilità ma anche la famiglia e gli amici intimi del paziente. L’intervento deve essere messo in atto da subito, poiché è noto come alcuni frangenti in particolare siano associati ad un elevato rischio di suicidio, per esempio i giorni successivi alla dimissione dal pronto soccorso o dall’ospedale psichiatrico, per i pazienti ricoverati in seguito ad episodi di ideazione suicidaria o di tentato suicidio. Occorre inoltre tenere conto del fatto che molto spesso l’agito suicidario costituisce il punto apicale di una condizione di sofferenza e di malessere, che si protrae da tempo e che conduce la persona a ritenere che compiere tale gesto sia l’unica soluzione e la sola via d’uscita possibile. Tuttavia quando il proposito di togliersi la vita fortunatamente non viene portato a compimento, il fatto di trovarsi di fronte a un simile frangente può essere un’occasione, per quanto dolorosa e destabilizzante, per iniziare un lavoro su di sé, che conduca l’individuo a prendere in mano creativamente la propria vita e rivedere le proprie modalità di muoversi nel mondo e di pensare a sé stesso. Ecco perché a volte la sofferenza, anche quella più intensa e profonda, può rilevarsi, se opportunamente maneggiata, un’occasione di apertura e di cambiamento. 

Che cosa posso fare se penso che qualcuno sia a rischio suicidario?

Se pensi che qualcuno che conosci stia pensando di togliersi la vita, il primo passo da fare è chiedere aiuto e non lasciare sola la persona che sta male, attivando per quanto possibile una rete attorno a lei: gli amici, i famigliari, i colleghi di lavoro, i medici, gli insegnanti. 

Per i cittadini della Regione Lombardia occorre chiamare il numero unico: 116 117

In alternativa è possibile chiamare il numero unico nazionale: 112

 

Dott.sa Erika Marchetti

Psicologa Psicoterapeuta