Quando apriamo il congelatore del supermercato per scegliere una pizza surgelata, ci troviamo di fronte a confezioni letteralmente invase da simboli, bollini colorati e grafiche accattivanti. Alcuni di questi elementi hanno un valore legale preciso e sono regolati da norme europee come i marchi DOP, IGP, STG o il logo biologico UE, altri sono semplicemente strategie di marketing progettate per catturare la nostra attenzione, senza alcun controllo da parte di terzi. Il problema? Diversi studi di consumer science mostrano che molti consumatori faticano a distinguere tra claim regolamentati e claim puramente promozionali, con il rischio di basare le scelte su informazioni fuorvianti.
Il labirinto visivo delle confezioni: cosa stiamo davvero guardando
Le aziende produttrici di pizze surgelate hanno affinato negli anni l’arte del packaging persuasivo. L’uso di bandiere tricolori, simboli che richiamano certificazioni, scritte dorate e bollini che sembrano ufficiali è un esempio tipico di quello che gli esperti chiamano quality halo: elementi grafici che comunicano implicitamente qualità o italianità senza che vi sia necessariamente un fondamento normativo o un controllo indipendente.
Dal punto di vista regolatorio, la domanda fondamentale che dovremmo porci davanti allo scaffale è: questi elementi comunicano informazioni soggette a norme specifiche oppure sono semplici decorazioni commerciali non regolamentate? Un bollino dorato con una scritta che promette “qualità superiore” o “ricetta tradizionale” è, nella maggior parte dei casi, una autodichiarazione dell’azienda e non corrisponde a una certificazione prevista da regolamenti UE o riconosciuta da un ente terzo accreditato. I regolamenti europei sui claim nutrizionali e salutistici disciplinano solo le indicazioni nutrizionali e sulla salute, non espressioni generiche di marketing come “premium” o “selezione”.
Certificazioni autentiche: cosa dobbiamo cercare veramente
Esistono simboli che hanno un valore legale preciso e rappresentano garanzie concrete per chi acquista. Tra questi troviamo i marchi europei DOP, IGP e STG, disciplinati dal Regolamento UE n. 1151/2012, che attestano l’origine geografica e il rispetto di disciplinari produttivi specifici per determinati prodotti agricoli e alimentari. Se una pizza surgelata utilizza mozzarella DOP, ad esempio, la presenza del simbolo DOP indica che l’ingrediente risponde a standard definiti e controllati secondo quel regolamento.
Il marchio dell’agricoltura biologica UE, riconoscibile dalla foglia formata da stelle su sfondo verde, è regolato dal Regolamento UE 2018/848 e può essere utilizzato solo se il prodotto o gli ingredienti agricoli soddisfano requisiti precisi sulla produzione biologica e se esiste un controllo da parte di un organismo autorizzato, identificato da un codice riportato in etichetta.
Le certificazioni di qualità rilasciate da enti di certificazione accreditati, ad esempio secondo norme ISO o schemi privati di qualità , rappresentano un ulteriore livello di garanzia. Il consumatore deve però poter identificare chiaramente il logo dell’ente e idealmente un numero di certificato o uno schema riconoscibile, altrimenti il simbolo rischia di essere confuso con un semplice marchio grafico interno.
I dettagli che fanno la differenza
Un elemento chiave per distinguere una certificazione autentica da un semplice logo commerciale è la presenza di informazioni verificabili. Le certificazioni reali riportano sempre il nome dell’ente certificatore o dell’organismo di controllo, come per il biologico un codice tipo “IT-BIO-XXX” accanto al logo UE. Includono inoltre un codice alfanumerico o riferimento che identifica la certificazione, riferimenti normativi o almeno una denominazione ufficiale dello schema, e spesso un sito web o un sistema di tracciabilità consultabile, previsto da molti schemi di qualità volontari.
Al contrario, i simboli puramente commerciali tendono a essere vaghi e privi di riferimenti esterni verificabili. Frasi come “sapore autentico”, “ricetta casalinga” o “come una volta” sono claim di marketing non disciplinati da regolamenti specifici e non hanno alcun valore certificativo, anche se sono presentati graficamente in modo da sembrarlo.
Le strategie del marketing che confondono
L’industria alimentare utilizza in modo sistematico colori, forme e simboli per influenzare le scelte. La letteratura sui front-of-pack cues mostra che elementi visivi come colori, bandiere e bollini possono orientare la percezione di qualità o salubrità anche in assenza di informazioni oggettive corrispondenti.
L’utilizzo dei colori della bandiera italiana sulle confezioni è spesso interpretato dal consumatore come garanzia di produzione nazionale o di ingredienti italiani, ma dal punto di vista legale non equivale a un’indicazione di origine regolamentata. Per quella servono diciture specifiche disciplinate dai regolamenti UE sull’informazione al consumatore o da normative nazionali. La sola presenza del tricolore può indicare più semplicemente uno stile o una ricetta di ispirazione italiana, senza alcun vincolo sulla provenienza degli ingredienti.

I bollini circolari con bordi dorati o argentati, simili a medaglie, vengono spesso utilizzati per suggerire premi o riconoscimenti, ma in molti casi riportano solo affermazioni autoreferenziali come “selezione premium” o “qualità garantita”. Non corrispondono a schemi di certificazione riconosciuti da autorità pubbliche o da organismi di accreditamento se non sono associati a un ente identificabile e a un regolamento.
Il caso delle percentuali e dei numeri
Un’altra tecnica frequente consiste nell’evidenziare percentuali e numeri in modo che appaiano oggettivi, pur essendo potenzialmente fuorvianti. Un grande “100% mozzarella italiana” in evidenza può essere tecnicamente corretto per la sola mozzarella, ma non dice nulla sulla percentuale di mozzarella sul totale della pizza. Il Regolamento UE n. 1169/2011 prevede l’indicazione quantitativa degli ingredienti per quelli enfatizzati nella denominazione o nell’etichettatura: il valore effettivo va verificato nell’elenco ingredienti o nella percentuale riportata in piccolo, non nel claim grafico isolato. Leggere le diciture in piccolo e consultare l’elenco ingredienti diventa quindi essenziale per interpretare correttamente questi numeri.
Come diventare consumatori più consapevoli
Difendersi da questa confusione non richiede competenze specialistiche, ma l’adozione di alcune abitudini pratiche. Prima di tutto, dedicare qualche secondo in più alla lettura della confezione può fare una differenza enorme. Non fermatevi al pannello frontale, progettato per vendere: girate la confezione e leggete l’etichetta nutrizionale obbligatoria, l’elenco ingredienti in ordine decrescente di peso e le informazioni legali su origine, denominazioni protette e allergeni.
Cercate sempre riferimenti esterni verificabili per i simboli che influenzano la vostra scelta: la presenza di un organismo di controllo, di un regolamento o di un codice. In caso di dubbio, una ricerca del nome esatto del marchio o del simbolo permette di capire rapidamente se si tratta di una certificazione reale, riconducibile a norme ufficiali o a un ente accreditato, oppure di un elemento puramente promozionale.
Prestate attenzione anche al linguaggio utilizzato. Espressioni come biologico certificato sono collegate a una disciplina legale precisa, mentre frasi come “naturalmente buono” o “senza sensi di colpa” sono solo claim di marketing e non comportano obblighi normativi specifici oltre alle regole generali sulla non ingannevolezza. La differenza può sembrare sottile, ma ha implicazioni concrete sulla qualità e sulla tracciabilità del prodotto che state acquistando.
L’importanza della trasparenza e delle scelte informate
Questa situazione si inserisce in un problema più ampio nel rapporto tra industria alimentare e consumatori: la sovrabbondanza di elementi grafici sulle confezioni può generare sovraccarico informativo e favorire chi è più abile nel marketing rispetto a chi investe in qualità oggettivamente misurabile. Autorità come l’EFSA e la Commissione europea sottolineano da anni la necessità che le informazioni non siano ingannevoli e che i consumatori possano effettuare scelte informate.
Come consumatori, abbiamo il diritto di pretendere chiarezza e trasparenza. In presenza di confezioni ritenute ambigue o potenzialmente ingannevoli, è possibile rivolgersi alle autorità competenti in materia di pratiche commerciali scorrette o di etichettatura. Le associazioni dei consumatori raccolgono queste segnalazioni e possono chiedere chiarimenti alle aziende e, se necessario, attivare azioni collettive o esposti.
La prossima volta che sceglierete una pizza surgelata, dedicare qualche minuto in più all’analisi della confezione vi aiuterà a distinguere tra certificazioni autentiche e semplice marketing. Questo non solo vi permetterà di fare acquisti più coerenti con le vostre aspettative, ma invierà anche un segnale chiaro al mercato: i consumatori informati premiano la sostanza, non solo l’apparenza. Nel lungo periodo, la pressione esercitata da scelte più consapevoli può contribuire a migliorare la qualità complessiva delle informazioni e dei prodotti che troviamo sugli scaffali.
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