Compri marmellata pensando sia sana: il trucco dell’etichetta che ti fa assumere zucchero senza saperlo

Quando ci troviamo davanti allo scaffale delle marmellate al supermercato, i nostri occhi vengono immediatamente catturati da bollini colorati, simboli rassicuranti e claim che promettono naturalezza e bontà. Foglie verdi, cuori stilizzati, scritte che enfatizzano l’assenza di conservanti o la presenza massiccia di frutta: tutti elementi che ci fanno sentire consumatori consapevoli mentre mettiamo il vasetto nel carrello. Ma siamo davvero sicuri di conoscere cosa si nasconde dietro questa strategia comunicativa?

Il linguaggio visivo che condiziona le nostre scelte

La comunicazione visiva sulle confezioni alimentari non è mai casuale. Ogni elemento grafico viene studiato meticolosamente per trasmettere messaggi specifici al nostro subconscio. Nel caso delle marmellate, l’obiettivo è chiaro: farci percepire il prodotto come salutare, genuino, adatto a una colazione equilibrata. Il problema sorge quando questi simboli creano una cortina fumogena che offusca la realtà nutrizionale del contenuto.

Prendiamo ad esempio il claim “senza conservanti”: tecnicamente corretto, ma cosa significa davvero? Lo zucchero stesso è un conservante naturale, ed è proprio per questo che le marmellate ne contengono quantità così elevate. Secondo il Regolamento UE 1333/2008 sugli additivi alimentari, i conservanti sono definiti come sostanze aggiunte per preservare le proprietà del prodotto, escludendo ingredienti tecnologici come lo zucchero, che agisce naturalmente inibendo la crescita microbica grazie alla sua alta concentrazione. Dichiarare l’assenza di conservanti artificiali diventa quindi un messaggio che distoglie l’attenzione dal vero protagonista della composizione.

La parola magica: naturale

Il termine “naturale” applicato alle marmellate merita un’analisi approfondita. Dal punto di vista normativo, questo aggettivo non ha una definizione univoca e stringente nel contesto alimentare europeo, lasciando ampio spazio interpretativo ai produttori. Il Regolamento UE 1169/2011 sull’etichettatura non definisce “naturale” in modo vincolante, permettendo claim generici purché non ingannevoli, come confermato dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza C-331/17 sul termine “naturale” per aromi.

Un prodotto può essere considerato naturale anche se contiene proporzioni di zucchero che raggiungono o superano il 50% del peso totale, semplicemente perché lo zucchero proviene da fonti vegetali. Questa ambiguità linguistica crea un paradosso: percepiamo come salutare un alimento che, consumato quotidianamente nelle quantità spesso consigliate sulle etichette, può contribuire significativamente al superamento della soglia giornaliera di zuccheri semplici raccomandata dalle linee guida nutrizionali internazionali. L’OMS raccomanda di limitare gli zuccheri liberi a meno del 10% delle calorie totali giornaliere, circa 50 grammi per un adulto, e una porzione tipica di marmellata da 20 grammi può apportarne 10-15 grammi.

Il mito della percentuale di frutta

Molti consumatori scelgono le marmellate guidati dalla percentuale di frutta dichiarata in etichetta, convinti che un numero più alto corrisponda automaticamente a un prodotto più salubre. Questa correlazione è tuttavia ingannevole. Una marmellata che dichiara “70% di frutta” può comunque contenere percentuali elevatissime di zuccheri aggiunti, che si sommano agli zuccheri naturalmente presenti nella frutta stessa.

Il Decreto Legislativo 50/2000, che attua la Direttiva 2001/113/CE, definisce le marmellate con minimo 35% frutta e zuccheri totali fino al 60%, mentre le confetture extra richiedono 45% frutta, ma lo zucchero può comunque dominare la composizione finale del prodotto.

Cosa guardare realmente

Per comprendere cosa stiamo effettivamente acquistando, dobbiamo imparare a leggere oltre i bollini attraenti:

  • La tabella nutrizionale rimane l’unica fonte oggettiva di informazioni: la voce “carboidrati di cui zuccheri” rivela la verità che i simboli cercano di addolcire. Tipicamente, una marmellata standard indica 50-60 grammi di zuccheri per 100 grammi di prodotto
  • L’elenco degli ingredienti, ordinato per quantità decrescente, mostra spesso lo zucchero nelle prime posizioni, talvolta addirittura prima della frutta
  • Le porzioni suggerite sulle confezioni sono spesso sottostimate rispetto all’uso reale che ne facciamo quotidianamente. Studi mostrano che i consumatori usano porzioni 2-3 volte più grandi di quelle indicate, 15-30 grammi invece dei 10 grammi suggeriti

La strategia dei simboli salutistici

I bollini che richiamano benessere e salute sfruttano meccanismi psicologici ben precisi. Colori come il verde vengono associati istintivamente a concetti di naturalezza e salubrità, mentre simboli grafici come spighe, frutti stilizzati o certificazioni dall’aspetto ufficiale conferiscono autorevolezza al prodotto. Questi elementi creano quello che gli esperti di marketing chiamano effetto alone: la percezione positiva generata da un singolo elemento si estende all’intero prodotto.

Uno studio pubblicato su Appetite nel 2015 dimostra che etichette con claim “naturale” aumentano la percezione di salubrità del 20-30% anche in prodotti ad alto contenuto zuccherino. Nel settore delle marmellate, questo fenomeno è particolarmente insidioso perché intercetta un bisogno genuino dei consumatori: quello di fare scelte alimentari più consapevoli per sé e per la propria famiglia. Quando un genitore cerca una marmellata per i figli, la presenza di claim rassicuranti può far abbassare la guardia critica proprio nel momento della decisione d’acquisto.

Distinguere l’informazione dalla suggestione

Esistono differenze sostanziali tra le diverse tipologie di prodotti spalmabili a base di frutta, ma queste distinzioni vengono spesso sfumate dalla comunicazione commerciale. Le confetture extra richiedono almeno 45% frutta e massimo 55% zuccheri totali, mentre le marmellate 35% frutta secondo il Decreto Legislativo 50/2000. Le composte e le preparazioni di frutta seguono parametri ancora diversi, ma sul piano visivo queste differenze scompaiono dietro grafiche omogenee.

La questione diventa ancora più complessa quando consideriamo le varianti “senza zuccheri aggiunti”, che meriterebbero un’analisi separata. I simboli salutistici possono amplificare la percezione di un prodotto dietetico, mentre il contenuto calorico rimane spesso paragonabile alle versioni tradizionali grazie alla naturale dolcezza concentrata della frutta. Analisi di Coldiretti del 2022 su marmellate “zero zuccheri” mostrano calorie simili, 200-250 kcal per 100 grammi, dovute a fruttosio naturale e addensanti.

Costruire una difesa consapevole

La tutela più efficace contro il marketing ingannevole parte dall’educazione alimentare personale. Non si tratta di demonizzare le marmellate o di evitarle completamente, ma di ridimensionare le aspettative create dai claim pubblicitari e contestualizzarle all’interno di un’alimentazione bilanciata.

Sviluppare la capacità di interpretare correttamente le etichette nutrizionali, confrontare i valori tra prodotti diversi, calcolare l’apporto effettivo di zuccheri in base alle porzioni reali che consumiamo: questi sono strumenti concreti che ci restituiscono il controllo sulle nostre scelte alimentari. I bollini e i simboli possono continuare a esistere sugli scaffali, ma perdono il loro potere manipolativo quando diventiamo consumatori realmente informati.

La trasparenza nella comunicazione alimentare non dovrebbe essere un optional ma uno standard. Fino a quando la normativa non imporrà regole più stringenti sull’uso di claim salutistici, spetta a noi consumatori sviluppare quello spirito critico necessario per vedere oltre le apparenze patinate delle confezioni e riconoscere il valore nutrizionale autentico di ciò che portiamo sulle nostre tavole.

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