Quando afferriamo un tubetto o un vasetto di salsa bianca e cremosa sullo scaffale del supermercato, siamo davvero certi di sapere cosa stiamo portando a casa? Spesso quello che crediamo sia maionese, in realtà è un prodotto simile che non può legalmente essere chiamato così secondo la normativa europea e italiana sulla denominazione degli alimenti.
Il gioco delle etichette che confonde i consumatori
Passeggiando tra gli scaffali dei condimenti, si notano facilmente tubetti e vasetti dall’aspetto familiare, con colori e grafiche che richiamano alla mente la classica maionese. Eppure, leggendo attentamente l’etichetta, si trovano spesso diciture come “salsa”, “condimento” o “crema spalmabile”. Non si tratta solo di scelte di marketing: quando un prodotto non rispetta i criteri stabiliti per la denominazione “maionese”, deve usare una denominazione diversa.
La legislazione europea e le norme di categoria italiane fissano parametri precisi per i prodotti venduti come “maionese”: è previsto un tenore minimo del 70% di materia grassa e almeno il 5% di tuorlo d’uovo, oltre all’impiego di oli vegetali commestibili. Quando questi requisiti non vengono rispettati, il produttore è obbligato a ricorrere a denominazioni alternative. Il consumatore medio, però, raramente conosce queste distinzioni regolatorie e può acquistare un prodotto molto diverso da quello che immagina.
Cosa si nasconde davvero dentro questi prodotti
La differenza principale riguarda la tipologia e la quantità di oli e di uova utilizzati. Nei prodotti etichettati formalmente come “maionese” si trovano in genere percentuali più elevate di grassi e uovo, mentre molte “salse” o “condimenti” utilizzano quantità minori di tuorlo e possono impiegare miscele di oli più economici, spesso senza specificarne la natura in etichetta oltre alla dicitura generica “oli vegetali”.
Gli oli vegetali comunemente usati dall’industria alimentare, come olio di semi di girasole, soia o mais, presentano spesso un rapporto omega-6/omega-3 molto più alto rispetto all’olio extravergine di oliva o ad altri grassi tradizionali, contribuendo all’eccesso di omega-6 tipico delle diete occidentali. Un apporto abituale molto squilibrato a favore degli omega-6 è stato associato in letteratura scientifica a uno stato pro-infiammatorio e a un aumentato rischio di malattie croniche se non bilanciato da adeguate fonti di omega-3.
La maggior parte degli oli di semi utilizzati dall’industria alimentare è raffinata: la raffinazione ad alte temperature può portare alla formazione di contaminanti come gli esteri degli acidi grassi del 3-MCPD e del glicidolo, sostanze oggetto di valutazione di rischio da parte delle autorità sanitarie europee perché potenzialmente cancerogene a certe concentrazioni. Per questo motivo l’Unione Europea ha fissato limiti massimi di tali contaminanti in alcuni oli e alimenti.
Una buona notizia riguarda gli oli parzialmente idrogenati, principale fonte di acidi grassi trans industriali: sono stati in gran parte eliminati dagli alimenti confezionati in Europa grazie a limiti normativi specifici, perché i grassi trans aumentano il rischio di malattie cardiovascolari. Di conseguenza, nelle maionesi e salse moderne l’uso di oli parzialmente idrogenati è molto meno comune rispetto al passato.
Perché le aziende scelgono questa strada
La motivazione è soprattutto economica. Oli come l’olio extravergine d’oliva o gli oli di semi ad alto contenuto oleico hanno costi più elevati rispetto ad altri oli vegetali raffinati ad uso industriale. Utilizzando ingredienti meno costosi e riducendo la quota di tuorlo d’uovo, il produttore può contenere il costo di produzione e proporre un prezzo di vendita competitivo, mantenendo margini più alti rispetto a prodotti formulati con oli di qualità superiore e più uovo. Il consumatore spesso non percepisce pienamente queste differenze, se si affida solo all’aspetto del prodotto e alla comunicazione in etichetta.

Come difendersi e fare acquisti consapevoli
La prima regola è guardare denominazione di vendita e lista degli ingredienti, che per legge devono essere riportate in modo chiaro ed evidente. La denominazione di vendita si trova di solito vicino al nome commerciale del prodotto, talvolta con caratteri più piccoli. Se si legge “salsa”, “condimento” o espressioni simili, significa che il prodotto non rientra nella categoria “maionese” secondo le norme di settore. Claim come “ricetta tradizionale” o “gusto autentico” sono messaggi di marketing e non sostituiscono la denominazione legale.
Gli ingredienti sono elencati in ordine decrescente di quantità. In una maionese di qualità, nelle prime posizioni si trovano tipicamente un olio vegetale chiaramente specificato (ad esempio olio di girasole, olio di oliva) e una quota significativa di uova o tuorlo d’uovo. Se invece compare la dicitura generica “oli vegetali” senza alcuna specificazione, è un segnale che si sta usando una miscela di oli non meglio identificata, pratica consentita dalla normativa ma che riduce la trasparenza per il consumatore.
L’impatto sulla salute e sul portafoglio
Acquistare questi prodotti senza comprenderne la composizione significa spesso introdurre più grassi raffinati ricchi di omega-6 e una minore quantità di tuorlo d’uovo rispetto alla maionese tradizionale, contribuendo a un profilo lipidico della dieta meno favorevole se non compensato da altre scelte alimentari. A livello metabolico, un eccesso di grassi raffinati e un rapporto omega-6/omega-3 molto elevato sono associati a maggiore rischio di infiammazione cronica e malattie cardiovascolari, soprattutto quando si inseriscono in un contesto dietetico già squilibrato.
Dal punto di vista economico, il rischio è quello di pagare un prezzo che il consumatore associa mentalmente alla “maionese” tradizionale per un prodotto che, per ingredienti e qualità delle materie prime, è spesso meno pregiato. Le confezioni sono spesso progettate per richiamare l’immaginario della maionese classica: colori giallo e bianco, immagini di uova e limoni, posizione strategica vicino alle maionesi vere. Si tratta di una pratica di marketing che può generare confusione pur restando formalmente conforme alle regole, finché non induce in errore sulle caratteristiche principali del prodotto.
Alternative e soluzioni pratiche
Per scegliere un prodotto più genuino, conviene controllare che in etichetta compaia la denominazione “maionese”, preferire prodotti in cui l’olio vegetale è specificato (ad esempio “olio di girasole”, “olio extravergine di oliva”) e le uova compaiono tra i primi ingredienti, e confrontare il tenore di grassi e la presenza di additivi con prodotti alternativi. Un prodotto con denominazione “maionese” e ingredienti più selezionati può costare leggermente di più, ma questa differenza di prezzo riflette spesso il costo più elevato delle materie prime, in particolare degli oli di qualità superiore e delle uova intere o del tuorlo.
Un’alternativa valida è preparare la maionese in casa: con uova fresche, olio scelto (ad esempio olio di girasole alto oleico o olio extravergine di oliva), succo di limone o aceto e un frullatore a immersione, si può ottenere in pochi minuti un’emulsione stabile, controllata e personalizzabile. Questo permette di decidere il tipo di olio, il contenuto di sale e l’uso di eventuali aromi, adattando il condimento alle proprie esigenze nutrizionali.
La capacità di leggere correttamente le etichette è indicata dalla ricerca come una delle competenze chiave per migliorare la qualità della dieta: diversi studi mostrano che chi legge abitualmente le etichette tende ad assumere meno grassi saturi e più alimenti coerenti con le linee guida nutrizionali. Con un po’ di pratica, questo controllo diventa rapido e automatico e permette di trasformare il carrello della spesa in uno strumento di scelta consapevole, meno influenzato dalle sole strategie di marketing.
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