Questi nonni pensano di proteggere i nipoti, ma stanno commettendo un errore che rovinerà il loro futuro

La protezione eccessiva dei nonni affonda le radici in meccanismi emotivi e biografici complessi. A differenza dei genitori, che portano il peso quotidiano delle responsabilità educative, i nonni vivono spesso il rapporto con i nipoti in una dimensione percepita come più libera dal ruolo di educatori principali. Studi sulla transizione alla nonnità mostrano che molti nonni tendono a collocarsi in un ruolo prevalentemente affettivo e di sostegno, più che normativo, anche per differenziarsi dal ruolo genitoriale svolto in passato. Questa minore pressione può, paradossalmente, tradursi nel desiderio di preservare i piccoli da qualsiasi forma di frustrazione, offrendo ai nipoti un percorso più morbido e protetto rispetto a quello vissuto dai loro stessi figli.

I dati italiani più robusti disponibili indicano un coinvolgimento molto intenso dei nonni. Il Rapporto ANLA 2024 riporta che circa il 76% dei nonni vede i nipoti almeno una volta a settimana e che circa un terzo se ne prende regolarmente cura mentre i genitori lavorano. Una quota molto consistente di nonni italiani svolge quindi un ruolo co-educativo e di cura continuativa, assumendo di fatto una presenza centrale nella vita quotidiana dei nipoti. Questa vicinanza costante amplifica l’impatto che il loro stile educativo ha sullo sviluppo dei bambini.

Quando l’amore diventa gabbia invisibile

Un bambino di quattro anni che desidera versarsi l’acqua da solo, una bambina di sei anni che vuole allacciarsi le scarpe, un ragazzino di otto anni che chiede di andare da un amico in cortile sono esempi quotidiani di situazioni che favoriscono lo sviluppo dell’autonomia pratica e della fiducia nelle proprie capacità. Le teorie sull’autonomia in età prescolare e scolare sottolineano come la possibilità di cimentarsi in compiti leggermente sfidanti, ma realistici per l’età, sia cruciale per la costruzione delle competenze esecutive e dell’autostima.

Quando, in nome della protezione, l’adulto interviene sistematicamente con frasi come “è troppo piccolo”, “potrebbe farsi male”, “ci penso io che faccio prima”, si crea un pattern interattivo che riduce lo spazio di sperimentazione autonoma. Numerosi studi mostrano che uno stile educativo eccessivamente intrusivo è associato, nel tempo, a minore iniziativa del bambino e a una più bassa percezione di autoefficacia. La relazione tra iperprotezione adulta e sviluppo dell’autoefficacia percepita è ben documentata nella letteratura internazionale: quando ogni difficoltà viene sistematicamente rimossa dall’ambiente, il bambino non ha modo di costruire quella fiducia nelle proprie capacità che rappresenta il fondamento dell’autonomia futura.

Il conflitto generazionale tra approcci educativi

Le tensioni tra genitori e nonni intorno ai temi educativi emergono frequentemente in forma indiretta, attraverso allusioni, silenzi e commenti laterali, più che in conflitti dichiarati. La psicologa Silvia Vegetti Finzi ha descritto più volte come la famiglia contemporanea italiana sia attraversata da un confronto tra modelli culturali diversi: da un lato l’idea di favorire l’autonomia progressiva del bambino, dall’altro un modello più protettivo, legato alle insicurezze materiali e ai valori delle generazioni cresciute nel dopoguerra.

Molte ricerche in neuroscienze e psicologia dello sviluppo sottolineano l’importanza dell’esplorazione autonoma, del gioco libero e dell’apprendimento attraverso tentativi ed errori per lo sviluppo delle funzioni esecutive e dell’autoregolazione. Diverse evidenze scientifiche supportano quindi approcci educativi che valorizzano l’autonomia graduata, piuttosto che un controllo costante dell’adulto. Eppure molti nonni, cresciuti in contesti dove la sicurezza e la stabilità erano obiettivi primari, faticano a comprendere questa prospettiva educativa.

Le conseguenze sullo sviluppo infantile

Gli effetti di uno stile educativo iperprotettivo tendono a manifestarsi in modo graduale e non sono sempre immediatamente visibili. La letteratura su genitorialità e sviluppo infantile evidenzia alcune ricadute tipiche associate a un eccesso di controllo e alla ridotta possibilità di sperimentare.

  • Ritardo nello sviluppo di competenze pratiche: bambini che, pur avendo l’età per svolgere in autonomia semplici attività quotidiane come vestirsi, riordinare o preparare piccoli compiti domestici, hanno meno opportunità di esercitarle perché gli adulti intervengono costantemente. Studi sulle competenze di vita infantili mostrano che la pratica ripetuta e autonoma è essenziale per consolidare tali abilità.
  • Ridotta tolleranza alla frustrazione: uno stile educativo che elimina sistematicamente ostacoli e piccoli insuccessi può favorire una ridotta tolleranza alla frustrazione, con reazioni emotive intense anche di fronte a problemi minori. Ricerche su ansia e perfezionismo in età evolutiva collegano l’iperprotezione a maggiori difficoltà nella regolazione emotiva.
  • Dipendenza decisionale: bambini abituati a ricevere indicazioni continue su cosa fare e come farlo tendono, nel tempo, a cercare conferme esterne anche per decisioni semplici. Studi su controllo genitoriale eccessivo indicano una correlazione con minore iniziativa personale e maggiore dipendenza dall’adulto.
  • Ansia anticipatoria: un clima familiare in cui gli adulti comunicano costantemente pericolo o inadeguatezza può contribuire allo sviluppo di paure eccessive verso situazioni nuove. Analisi sull’ansia infantile hanno identificato l’iperprotezione come uno dei fattori di contesto associati a un rischio aumentato di disturbi d’ansia.

Strategie per trasformare la protezione in sostegno evolutivo

Superare le dinamiche di iperprotezione richiede un lavoro congiunto all’interno del sistema familiare, in cui il ruolo dei nonni venga riconosciuto e valorizzato in chiave complementare a quello dei genitori. La letteratura sulla coparentalità allargata evidenzia come la chiarezza di ruoli e la condivisione di obiettivi educativi tra adulti di riferimento favorisca il benessere del bambino.

Per i genitori: la comunicazione assertiva

Affrontare il tema con i nonni richiede uno stile comunicativo che coniughi rispetto e chiarezza. L’approccio suggerito dalle linee guida sulla comunicazione assertiva nelle relazioni familiari consiste nel passare dalla critica dei singoli comportamenti alla condivisione di obiettivi comuni: “Vorremmo che nostro figlio imparasse a cavarsela da solo in certe situazioni, anche se all’inizio farà qualche pasticcio”. Questo tipo di comunicazione centrata sugli obiettivi e sulle emozioni proprie, piuttosto che sull’accusa, è riconosciuto come più efficace nel ridurre i conflitti e nel favorire la collaborazione.

Per i nonni: il valore della zona di sviluppo prossimale

Il concetto di zona di sviluppo prossimale, introdotto dallo psicologo Lev Vygotskij, indica l’area tra ciò che il bambino può fare da solo e ciò che può fare con l’aiuto di un adulto più competente. Questo quadro teorico offre una chiave preziosa: il compito dell’adulto non è sostituirsi al bambino, ma fornire un sostegno calibrato che gli permetta di affrontare compiti leggermente più difficili delle sue capacità attuali.

I nonni possono svolgere in modo eccellente il ruolo di facilitatori discreti: presenti, ma non invasivi, pronti a intervenire quando il bambino è veramente in difficoltà, non al primo tentativo non riuscito. Osservare un nipote che prova più volte a infilare un bottone o a tenere l’equilibrio sul monopattino, senza sostituirsi immediatamente a lui, è un esempio concreto di questo approccio. La ricerca sullo scaffolding mostra che questo tipo di aiuto graduato favorisce l’acquisizione stabile di nuove competenze e un senso più solido di padronanza.

I nonni con i tuoi figli sono più protettivi o facilitatori?
Troppo protettivi e sostituenti
Facilitatori discreti e pazienti
Protettivi ma migliorano gradualmente
Dipende dalla situazione specifica
Non ho figli o nonni presenti

Ridefinire il patto intergenerazionale

La famiglia allargata funziona meglio quando ogni membro definisce e mantiene un proprio spazio di contributo, evitando sovrapposizioni disfunzionali. I nonni possiedono un bene prezioso, spesso più scarso per i genitori: il tempo. La possibilità di stare con calma accanto ai nipoti durante i loro tentativi, errori e ripetizioni può diventare una risorsa fondamentale per l’apprendimento, a condizione che non si traduca nel fare tutto al posto loro.

In Italia i nonni rappresentano una vera e propria colonna portante del welfare familiare informale: una parte consistente dei bambini in età prescolare viene regolarmente accudita dai nonni mentre i genitori lavorano. Questa presenza massiccia rappresenta un’opportunità educativa importante, non solo sul piano pratico ma anche valoriale. Per le famiglie contemporanee la sfida consiste nel trasformare una possibile fonte di conflitto in un’alleanza educativa consapevole, in cui l’esperienza biografica dei nonni e la sensibilità educativa dei genitori convergono verso un obiettivo condiviso: crescere bambini autonomi, resilienti e fiduciosi nelle proprie capacità.

Molte ricerche indicano che la combinazione di affetto stabile, aspettative chiare e opportunità di autonomia graduata è uno dei contesti più favorevoli allo sviluppo di competenze sociali e di benessere psicologico. In questa prospettiva, i nonni possono essere ricordati non come coloro che hanno sostituito il bambino in ogni compito, ma come adulti significativi che hanno creduto abbastanza nelle sue risorse da lasciargli spazio per provare, sbagliare e crescere.

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