Diciamocelo: quante volte nell’ultimo mese hai scrollato il feed e sei inciampato in almeno tre post del tipo “Orgoglioso di annunciare la mia nuova posizione”, “Felice di condividere questo traguardo” o “Non avrei mai pensato di arrivare fin qui”? E, ancora più interessante, quante volte sei stato tu a scrivere qualcosa del genere? Niente panico, non sei solo. Condividere i propri successi professionali sui social è diventato praticamente uno sport nazionale, soprattutto su piattaforme come LinkedIn che conta centinaia di milioni di utenti attivi proprio per questo. Ma ti sei mai fermato a chiederti cosa si nasconde dietro quel click su “pubblica”?
La risposta, spoiler alert, non è così semplice come “voglio vantarmi” o “sono un narcisista patentato”. La verità è molto più interessante e sfaccettata di quanto potresti pensare. Dietro quel post apparentemente innocuo si intrecciano bisogni psicologici ancestrali, meccanismi cerebrali potentissimi e dinamiche sociali che la scienza studia da decenni. E no, non stiamo parlando di roba da psicologi da salotto: ci sono ricerche vere, condotte da università serie, che hanno analizzato esattamente questi comportamenti.
Non È Vanità , È Sopravvivenza Sociale (O Quasi)
Partiamo dalle basi. Gli esseri umani sono animali sociali. Non è una frase fatta da biglietto di auguri: è un dato biologico e antropologico consolidato. Per millenni, essere accettati dal gruppo ha significato letteralmente sopravvivere. Chi veniva escluso dalla tribù aveva poche chance di farcela da solo nella savana. Oggi non abbiamo più bisogno di cacciare in branco per mangiare, ma il nostro cervello funziona ancora più o meno allo stesso modo.
Ed è qui che entrano in gioco i social media. Secondo uno studio pubblicato su Personality and Individual Differences nel 2012 da Nadkarni e Hofmann, uno dei motivi principali per cui usiamo piattaforme come Facebook è proprio soddisfare il bisogno di appartenenza e autostima. Quando posti il tuo successo lavorativo, non stai solo informando la tua rete: stai mandando un segnale alla tribù che dice “Ehi, guardate, sto contribuendo, ho valore, merito di far parte del gruppo”. E aspetti – consciamente o meno – che la tribù risponda con un like, un commento, una pacca virtuale sulla spalla.
Questo meccanismo non ha nulla di patologico. È semplicemente il modo in cui siamo programmati. Il problema, semmai, nasce quando questo diventa l’unico modo in cui cerchiamo quella conferma.
La Piramide di Maslow Ha Aperto un Profilo LinkedIn
Ricordi la famosa piramide di Maslow che ti hanno fatto studiare a scuola? Quella teoria proposta dallo psicologo Abraham Maslow nel 1943 che divide i bisogni umani in una gerarchia? Alla base ci sono bisogni fisiologici (mangiare, dormire), poi sicurezza, poi appartenenza, poi stima, e in cima autorealizzazione.
Ecco, i social media hanno praticamente costruito il loro impero sui livelli intermedi di quella piramide. Diversi studi, tra cui uno pubblicato su Computers in Human Behavior da Błachnio e colleghi nel 2016, confermano che condividere contenuti online risponde principalmente ai bisogni di appartenenza (sentirsi parte di una comunità ) e stima (ricevere riconoscimento per il proprio valore).
Quando condividi quel post sulla promozione o sul progetto che hai chiuso, stai arrampicandoti su quella piramide. Stai cercando conferma che i tuoi sforzi contano, che stai andando nella direzione giusta, che non stai sprecando la tua vita in un cubicolo anonimo. E francamente? È perfettamente normale volerlo sapere.
Il Tuo Cervello Su Instagram: Una Storia di Dopamina
Ora arriviamo alla parte davvero succosa: cosa succede nel tuo cervello quando premi “pubblica” e inizi a vedere le notifiche accumularsi. Benvenuto nel magico mondo della dopamina.
La dopamina è quel neurotrasmettitore che il tuo cervello rilascia quando ricevi una ricompensa. È la stessa sostanza che viene liberata quando mangi cioccolato, vinci una partita o ricevi un complimento. E qui viene il bello: uno studio pubblicato su Psychological Science nel 2016 da Sherman e colleghi ha dimostrato che quando vediamo foto con molti like, si attivano le stesse aree cerebrali del sistema di ricompensa che si accenderebbero se ricevessimo soldi o cibo.
Ogni like sul tuo post di successo professionale è una piccola dose di dopamina. È una ricompensa istantanea, misurabile, quantificabile. E il tuo cervello, da bravo mammifero opportunista qual è, pensa: “Oh, mi piace questa cosa. Facciamola ancora”. Gli esperti chiamano questo meccanismo “dopamine-driven feedback loop”: posti qualcosa, ricevi like, ti senti bene, vuoi ripetere l’esperienza.
Il problema? Quando questo ciclo diventa l’unica fonte del tuo senso di valore professionale, stai essenzialmente delegando la tua autostima a un algoritmo. E fidati, gli algoritmi non sono famosi per la loro empatia.
Il Teatro dell’Identità Professionale: Chi Sei Davvero?
C’è un altro livello di lettura, più strategico e meno emotivo. A volte, postare i propri successi non è tanto ricerca di approvazione quanto costruzione consapevole dell’identità professionale. E qui entra in gioco una teoria sociologica affascinante.
Nel 1959, il sociologo Erving Goffman scrisse un libro chiamato “The Presentation of Self in Everyday Life” dove descriveva l’interazione sociale come una rappresentazione teatrale. Secondo Goffman, tutti noi gestiamo attivamente l’impressione che diamo agli altri, come attori su un palcoscenico. I social media hanno semplicemente reso questo palcoscenico globale, permanente e accessibile 24 ore su 24.
Ricerche più recenti sulla “strategic self-presentation” confermano che gli utenti dei social selezionano e curano accuratamente ciò che pubblicano per presentare la versione di sé che desiderano proiettare. Se sei un freelance, un consulente, un professionista in cerca di nuove opportunità , condividere i tuoi successi è semplicemente marketing intelligente. Stai costruendo il tuo personal brand, mostrando le tue competenze, creando un track record visibile.
Tre Motivi per cui lo Facciamo (E Sono Tutti Validi)
La ricerca psicologica non identifica un’unica motivazione dietro la condivisione di successi sui social. Al contrario, esistono almeno tre spinte diverse che possono coesistere nella stessa persona, spesso nello stesso post.
Motivo Numero Uno: Sono un Professionista Strategico
Questa è la motivazione più razionale e consapevole. Usi i social come portfolio vivente. Ogni post su un progetto completato, una certificazione ottenuta, un cliente soddisfatto è un tassello del tuo personal branding. Studi sul marketing digitale e sulla gestione della carriera mostrano che una presenza online curata può aprire opportunità lavorative, aumentare la visibilità nel settore e costruire credibilità professionale.
Se lavori in proprio, se cerchi nuovi clienti, se vuoi affermarti come esperto in un campo specifico, condividere i tuoi successi non è narcisismo: è business. È la versione digitale del passaparola, del curriculum vitae, della stretta di mano che un tempo si scambiava alle fiere di settore.
Motivo Numero Due: Voglio Condividere la Gioia con la Mia Tribù
Questa motivazione è più emotiva e relazionale. Hai raggiunto un traguardo importante e vuoi raccontarlo alle persone che ti interessano, anche quelle che vivono dall’altra parte d’Italia o che non vedi dai tempi dell’università . È la versione digitale del chiamare gli amici per festeggiare una promozione.
La psicologia sociale ha dimostrato che condividere emozioni positive con gli altri – un processo chiamato “capitalization” – rafforza i legami sociali e aumenta il benessere, specialmente quando si ricevono risposte di sostegno. Studi sull’uso dei social, come quello di Baumeister e Leary pubblicato su Psychological Bulletin nel 1995, confermano che il bisogno di connessione sociale è fondamentale per l’essere umano.
Motivo Numero Tre: Ho Bisogno di Sapere Che Valgo
Ed eccoci alla motivazione più delicata. A volte, forse più spesso di quanto vorremmo ammettere, quel post diventa un modo per rispondere a insicurezze profonde. Il numero di like diventa un termometro del nostro valore. Il silenzio digitale viene interpretato come un fallimento personale. L’autostima oscilla pericolosamente in base alle reazioni dei follower.
Studi come quello di Meier e Schäfer pubblicato su Current Opinion in Psychology nel 2018 hanno analizzato la cosiddetta “autostima contingente”: quando il senso di valore personale dipende fortemente dal giudizio esterno. Ricerche su social media e benessere, come quella di Tandoc e colleghi pubblicata su Computers in Human Behavior nel 2015, hanno trovato correlazioni tra l’uso intensivo orientato alla validazione e sintomi di ansia e depressione.
Questo non significa che chi cerca conferma online sia “malato” o “sbagliato”. Significa semplicemente che sta usando i social per colmare un vuoto che probabilmente richiederebbe un lavoro più profondo su se stesso. E il problema è che i social, per loro natura, non possono riempire quel vuoto: possono solo dare l’illusione temporanea di averlo fatto.
La Frequenza Dice Tutto (O Quasi)
Un elemento chiave per capire cosa c’è dietro questi comportamenti è la frequenza. C’è una differenza abissale tra postare un paio di volte all’anno quando raggiungi traguardi importanti e condividere compulsivamente ogni minimo riconoscimento professionale.
- Se posti occasionalmente, con tono genuino, magari ringraziando chi ti ha aiutato lungo il percorso, probabilmente stai semplicemente condividendo gioia autentica e cercando connessione sociale. Studi sull’uso “prosociale” dei social indicano che questo tipo di condivisione è associato a maggiore benessere.
- Se posti molto frequentemente ogni achievement, con un tono che oscilla tra l’autocelebrazione esagerata e il finto stupore (“non me lo aspettavo proprio!”), potrebbe esserci una maggiore dipendenza dalla validazione esterna. Alcune ricerche hanno trovato correlazioni tra posting molto frequente e auto-promozionale e tratti narcisistici, sebbene la relazione non sia deterministica.
Il Problema della Perfezione Digitale
Parliamo un attimo di quello che gli psicologi chiamano “self-discrepancy”, il divario tra il sé reale e il sé ideale. Studi sulla psicologia dei social media mostrano che le persone tendono a pubblicare versioni idealizzate di se stesse, enfatizzando successi e omettendo fallimenti.
Il tuo profilo LinkedIn potrebbe essere una parata trionfale di vittorie professionali, mentre la tua realtà quotidiana è fatta di progetti falliti, riunioni disastrose, email imbarazzanti e crisi esistenziali sul divano. Questo non è necessariamente ipocrisia: è naturale voler mostrare il meglio di sé. Ma quando il divario diventa troppo ampio, nascono due problemi.
Primo: puoi iniziare a sentirti intrappolato nella tua narrazione. Hai costruito un personaggio di successo continuo e ora senti la pressione di mantenerlo, anche quando le cose vanno male. Secondo: questa immagine di perfezione può alimentare la sindrome dell’impostore, perché dentro di te sai che la realtà è molto più complessa e imperfetta di quanto mostri online.
E Chi Ti Legge Come Ti Vede?
C’è un aspetto spesso trascurato: mentre tu condividi un successo con motivazioni che ritieni legittime, dall’altra parte dello schermo c’è qualcuno che può interpretare quel post in modi completamente diversi.
Studi sulla teoria del confronto sociale di Festinger del 1954, applicati ai social media, mostrano che l’esposizione ai successi altrui può avere effetti molto diversi a seconda di chi guarda e quando. Alcuni possono sentirsi ispirati e motivati. Altri possono provare invidia o senso di inadeguatezza, soprattutto se stanno attraversando un periodo professionale difficile. Altri ancora potrebbero percepire i tuoi post come vanteria o narcisismo, anche se le tue intenzioni erano tutt’altre.
Quando Dovresti Preoccuparti (Davvero)
A questo punto potresti chiederti: ma allora, quando questo comportamento diventa un problema? Non esistono soglie universali, ma alcuni segnali potrebbero farti riflettere.
Se controlli ossessivamente le reazioni ai tuoi post e il tuo umore della giornata dipende dal numero di like ricevuti, potrebbe essere il momento di fare un passo indietro. Studi sull’uso problematico dei social media includono proprio il controllo compulsivo delle notifiche come uno dei sintomi.
Se provi un senso di vuoto o delusione marcato quando un post non ottiene l’engagement sperato, forse stai delegando troppo la tua autostima ai numeri digitali. Se ti ritrovi a vivere esperienze professionali principalmente pensando “questo farà un ottimo post”, forse è il caso di riconnetterti con il valore intrinseco di ciò che fai.
L’Arte dell’Equilibrio Digitale
La buona notizia? Non devi smettere di condividere i tuoi successi. Non c’è nulla di intrinsecamente sbagliato in questo comportamento. La chiave sta nella consapevolezza.
La prossima volta che stai per pubblicare quel post sulla promozione, fermati un secondo. Chiediti: perché voglio condividerlo? Cosa mi aspetto di ottenere? Come mi sentirei se nessuno interagisse? Sto condividendo per celebrare genuinamente o per riempire un vuoto? Questa condivisione riflette chi sono veramente o chi voglio apparire?
Le risposte non hanno un giusto o sbagliato assoluto. Potresti scoprire che le tue motivazioni sono miste, che convivono bisogni strategici, emotivi e di validazione. Va benissimo così. L’importante è esserne consapevoli, perché la consapevolezza ti permette di fare scelte più intenzionali.
Studi su interventi psicoeducativi e alfabetizzazione digitale, come quello di Moshe e colleghi pubblicato su Internet Interventions nel 2021, mostrano che aumentare la consapevolezza di queste dinamiche può ridurre gli effetti negativi e favorire un uso più sano dei social media.
Condividere un successo lavorativo può essere perfettamente legittimo: può rispondere a bisogni di connessione sociale, può essere parte di una strategia professionale intelligente, può essere semplice gioia da condividere. Il problema nasce quando quella condivisione diventa l’unico modo per sentire che vali qualcosa, quando i like sostituiscono la soddisfazione intrinseca per il lavoro ben fatto.
La psicologia sociale ci ricorda che un certo grado di ricerca di approvazione è normale, radicato nella nostra natura profondamente relazionale. Ma ci ricorda anche che l’autostima più solida è quella che non oscilla in base ai numeri sullo schermo, quella che sa riconoscere il proprio valore anche nel silenzio digitale, quella che trova significato nel lavoro fatto bene indipendentemente da quante persone premono il pulsante del cuoricino. Quindi vai, condividi quel successo se ti va. Ma fallo con consapevolezza, autenticità e senza dimenticare che dietro quello schermo ci sei tu, con la tua storia complessa, le tue insicurezze, i tuoi fallimenti e i tuoi trionfi.
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